Le Fiabe di tempografico. Capitolo II – Il Presidente delle barzellette

Il Presidente delle barzellette

C’era una volta un Presidente. Era uno di quei Presidenti duri a morire, di quelli che il consenso lo guadagnano giorno dopo giorno, parlando in televisione di grandi progetti, ideali irraggiungibili che fanno sognare la gente comune, quella che invece tira a campare con pochi danari. Il Presidente amava ridere e, pensando di attirare l’attenzione sempre su di sé, raccontava barzellette in ogni dove. Le narrava con trasporto, con espressione convincente, anche se non capiva se gli astanti facevano finta di ridere perché lui era il Presidente. Andava all’estero e si sforzava di tradurre le sue storielle in lingue esotiche. Non capiva che quelle stesse storie avrebbero offeso un emiro, un comandante sudamericano o un Mandarino. Proprio non ci faceva caso perché pensava che il suo Paese fosse davvero il centro dell’universo e Lui, il Presidente, l’uomo che avrebbe fatto la storia, quella con la S maiuscola. Un bel giorno, nel corso di un vertice fra Presidenti grandi più di lui, incontrò lo sguardo di una sua pari grado, una donna bellissima di un paese lontano da cui il suo importava tutta l’energia per mandare avanti la baracca. Il Presidente fece una battuta infelice e la sua pari grado lo guardò torva, offesa dall’audacia del collega che mai e poi mai avrebbe immaginato la sua fine incombente. Tornato a casa il Presidente apprese che quel Paese avrebbe tagliato le forniture energetiche; il tutto in pieno inverno, dinanzi a quel sole pallido che timidamente fendeva le nuvole. E il buio fu più buio e fiat lux era ormai solo una preghiera nei luoghi di culto. Il Paese fu presto in ginocchio e questo non era più uno scherzo. Ma il Presidente, rimasto a bivaccare nel palazzo in una stanza completamente buia, così si rivolse ai suoi collaboratori: “Da oggi giocheremo solo a mosca cieca”.